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Nell’ordinamento del diritto del lavoro non esiste una definizione propria di trasferta ma piuttosto è l’orientamento giurisprudenziale a definirla ossia come la necessità legate ad esigenze produttive di spostare temporaneamente la prestazione lavorativa del lavoratore in un luogo diverso rispetto a quello abituale stabilita dagli accordi individuali indicati nel contratto di lavoro. La «trasferta» è caratterizzata da tre elementi: a) lo spostamento del lavoratore in un luogo diverso da quello abituale per svolgervi l’attività lavorativa; b) temporaneità del mutamento del luogo di lavoro; c) necessità che la prestazione lavorativa sia effettuata in esecuzione di una direttiva datoriale. L’elemento temporale è importante nel distinguerlo dal trasferimento dove il lavoratore viene spostato in maniera definitiva e dove l’applicazione delle esenzioni non trova applicazione.
Può rifiutarsi il lavoratore?
La regolamentazione della trasferta è demandata dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro, ma in generale se dietro all’esigenza di inviare il lavoratore in missione ci sia una motivazione legittima e non discriminatoria il lavoratore non può rifiutarsi senza ragione. Difatti il consenso e la disponibilità è irrilevante come lo è la diversità delle mansioni eventualmente espletate pertanto il rifiuto è considerato insubordinazione con le conseguenze disciplinari ( Cassazione sent. n. 16812/2002, n. 9870/1998).
Il compenso e la sua imponibilità
Il compenso per la trasferta ( o indennità o diaria) può avere natura retributiva, in questo caso le somme erogate in maniera ricorrente rientrano nel calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (Cass. 30/10/2002, n. 15360, in Lav. nella giur., 2003, 273) e computati nel calcolo della 13ª mensilità per il 50% del loro ammontare” (Trib. Milano, 18 febbraio 1989) oppure natura di rimborso delle spese sostenute quali il trasporto il vitto e l’alloggio. A indicare quale trattamento fiscale applicare alle due fattispecie ce lo dice l’art. 51 c. 5 e 6 del D.P.R. 917/86, nel quale rileva ai fini impositivi se la trasferta viene svolta nello stesso comune o fuori dove ha sede il luogo di lavoro indicato nel contratto o nella lettera di assunzione. Difatti “le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.
Il comma 5 dell’art. 51 del T.u.i.r. afferma che le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente:
- euro 46,48 al giorno (euro 77,47 per le trasferte all’estero): se l’indennità di trasferta copre tutte le spese di vitto e alloggio (sistema a forfait);
- euro 30,99 al giorno (euro 51,65 per le trasferte all’estero): se l’indennità di trasferta copre o le spese di vitto o quelle di alloggio (sistema misto);
- euro 15,49 al giorno (euro 25,82 per le trasferte all’estero): se all’indennità di trasferta si aggiungono il rimborso delle spese a piè di lista per vitto e alloggio (sistema misto)
- euro 15,49 al giorno (euro 25,82 per le trasferte all’estero): se oltre a tutti i rimborsi spese a piè di lista si eroga un’indennità per altre spese non documentate ma analiticamente attestate dal dipendente, come, a titolo esemplificativo e non esaustivo: spese di lavanderia, telefono, parcheggio, mance (sistema misto)
La Circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997 puntualizza che:
- il lavoratore dipendente è tenuto a svolgere la propria prestazione di lavoro nel luogo stabilito dal datore di lavoro generalmente indicato nella lettera o contratto di assunzione;
- l’individuazione della sede di lavoro è rimessa alla libera decisione delle parti contrattuali, decisione sulla quale né il Legislatore né, tanto meno, l’Amministrazione finanziaria, hanno possibilità di intervenire;
- non assume alcuna rilevanza l’ampiezza del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro;
- non assume alcun rilievo l’eventuale ripartizione del territorio in entità subcomunali, come le frazioni, dovendosi comunque aver riguardo al territorio comunale.
Non esiste un limite temporale ai giorni di trasferta anche se, come già scritto in precedenza, la caratteristica peculiare della trasferta è la temporaneità ma ancora il Ministero precisa che:
- l’indennità deve essere erogata in relazione ai giorni in cui la prestazione lavorativa è effettuata fuori dalla sede naturale di lavoro (vedi anche Min. fin., ris. n. 56/E/2000) e pertanto l’esenzione non può competere per gli importi concessi nei giorni in cui il lavoratore non effettua la prestazione lavorativa: giorni di assenza, ferie, permesso, malattia, ovvero nel weekend;
- la quota di indennità che non concorre a formare il reddito non subisce alcuna riduzione in relazione alla durata della trasferta e, pertanto, anche nell’ipotesi di trasferta inferiore a 24 ore o, più in generale, di trasferta che per la sua durata non comporti alcun pernottamento fuori sede.
L’Agenzia delle Entrate con risposta n. 5 del 31 gennaio 2019 con riguardo alle spese di parcheggio, ha precisato che si tratta di spese che differiscono rispetto alle spese di viaggio, trasporto, vitto e alloggio pertanto il loro rimborso:
- è assoggettabile interamente a tassazione nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia adottato i sistemi del rimborso forfettario e misto;
- rientra tra le “altre spese” (ulteriori rispetto a quelle di viaggio, trasporto, vitto e alloggio) escluse dalla formazione del reddito di lavoro dipendente fino all’importo massimo di 15,49 euro giornalieri (25,82 euro per le trasferte all’estero) nei casi di rimborso analitico.
Il Trasfertista
L’art. 51, comma 6, Tuir (D.P.R. n. 917/1986) stabilisce, in materia di determinazione dei redditi di lavoro dipendente, che le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai «trasfertisti abituali», ossia i lavoratore tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare.
L’Amministrazione finanziaria si è occupata più volte nel dare pareri sull’applicabilità della tassazione alle indennità di trasferta ex art. 5 ( esenzioni con limiti ) e art. 6 ( trasfertisti) spesso in maniera alternata e contrastante. Difatti con la risoluzione n. 56/2000 e circ. n. 101/2000 l’Agenzia delle Entrate per il trasfertismo nel settore degli autotrasporti ha deciso che si applichi il regime del comma 5 poichè, avendo una sede di lavoro, i lavoratori ricevono l’indennità per le sole giornate di trasferta. Ciò è confermato anche dall’interpello n. 24 del 9 giugno 2010 per le somme riconosciute agli autotrasportatori anche con carattere di continuità, non correlate a una singola trasferta, ma contrattualmente attribuite per tutti i giorni retribuiti:
- non rivestono natura meramente retributiva;
- rientrano solo in parte nella base imponibile fiscale e previdenziale;
- vi rientrano secondo le regole proprie della gestione delle trasferte (comma 5) e non del trasfertista (comma 6).
Nel settore edile il Ministero del lavoro, con nota 20 luglio 2008, n. 8287, ha precisato che deve considerarsi trasfertista in caso di mancanza del luogo di lavoro nel contratto e in quanto assoggettato a continui spostamenti, per i quali abbia diritto a una particolare maggiorazione contributiva, senza che rilevino a detti fini, i tempi e il luogo delle varie trasferte; lo stesso CCNL edile e metalmeccanico PMI giudica il compenso per le trasferte indennitario e non retributivo e legato alla singola trasferta anche se durante tale periodo ci fosse una sospensione lavorativa. Tutte queste fattispecie devono ricadere nella normativa di cui all’art. 51, comma 5 T.u.i.r.
Mentre nel CCNL Impiantistica Industria è l’INPS con il msg. n. 27271 del 5 dicembre 2008 a precisare che gli elementi riconducibili al trasfertismo sono:
1. la mancata indicazione nel contratto e/o lettera di assunzione della sede di lavoro intendendosi per tale il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa e non quello di assunzione (quest’ultimo, infatti, può non coincidere con quello di svolgimento del lavoro);
2. lo svolgimento di una attività lavorativa che richieda la continua mobilità del dipendente (ossia lo spostamento costituisce contenuto ordinario della prestazione di lavoro);
3. la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di una indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, vale a dire non strettamente legata alla trasferta poiché attribuita senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta.
La circolare conclude “in assenza di uno specifico provvedimento che dirima ogni dubbio circa la categoria di lavoratori da considerare trasfertisti, ai fini dell’applicabilità del regime contributivo di cui al comma 6 dell’art. 51 T.u.i.r., è necessaria la sussistenza di tutte le condizioni sopradescritte”.
A seguito di tale norma si sono formulate diverse interpretazioni contrastanti per cui il legislatore ha voluto dare un’interpretazione autentica con l’art. 7-quinquies D.L. n. 193/2016, per il quale i lavoratori si ricade nella disciplina ivi stabilita se sussistono contestualmente le tre seguenti condizioni:
- a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
- b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
- c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
In caso di mancanza anche di uno solo delle tre condizioni si ricade nell’applicazione del comma 5 del 917/1986. Tale interpretazione sarà applicabile a tutte le situazioni giuridiche non già consolidate, compresi i processi in corso, così come stabilito Cass., sez. lav., ordinanza 20 giugno 2018, n. 16263 e così dare valenza retroattiva.
Quali giorni devono essere considerati trasferta?
La Sentenza n. 12895/2002 della Corte di Cassazione ha chiarito che il trattamento di trasferta deve essere corrisposto per tutte le giornate di calendario ricadente nel periodo della missione (includendo anche le domeniche e le festività).
La Cassazione 8 aprile 2000, n. 4482 sancisce che al lavoratore che sia inviato in missione in località diversa da quella in cui si trova l’abituale sede di lavoro, spetta l’indennità di trasferta anche nel caso in cui detta località coincida con la sua residenza anagrafica, peraltro molto distante dal luogo di abitazione abituale effettiva.
Come si gestisce la trasferta?
Come già detto in precedenza la trasferta di lavoro o missione, rappresenta un cambiamento provvisorio del luogo di lavoro indicato nel contratto individuale sottoscritto tra le parti all’atto dell’assunzione, ovvero lo spostamento temporaneo del lavoratore presso una sede diversa da quella abituale. E’ uno strumento a disposizione del datore di lavoro per far fronte ad esigenze lavorative su un’altra sede, di carattere temporaneo. Il principio, infatti, è che la sede abituale di svolgimento della prestazione lavorativa non cambia in maniera definitiva. Il compenso corrisposto per la trasferta può avere carattere risarcitorio oppure retributivo, a seconda che riguardi o meno le spese affrontate dal lavoratore per recarsi sul luogo di destinazione: ha carattere risarcitorio se ha attinenza diretta con queste spese; ha invece carattere retributivo, senza una componente risarcitoria, se costituisce il corrispettivo della peculiarità delle modalità di prestazione del lavoro.
In caso di trasferta è necessario innanzitutto registrare l’evento nel Libro Unico del Lavoro (LUL). Si tratta di un adempimento obbligatorio la cui inosservanza innesca un sistema sanzionatorio a scaglioni, ai sensi dall’art. 22, co. 5 del D.Lgs. n. 151/2015. Difatti in caso di non conforme scritturazione/registrazione della voce “trasferta”, considerata la disciplina dettata dall’art. 51 co. 5 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), il MLPS ha precisato che si può configurare la condotta di infedele registrazione tutte le volte in cui venga riscontrata, a seguito di accertamento ispettivo, una difformità tra la realtà “fattuale” e quanto registrato sul LUL e sempre che “l’erronea” scritturazione del suddetto dato abbia determinato una differente quantificazione dell’imponibile contributivo, sempre ai sensi e per gli effetti dell’art. 51, co. 5. I casi in cui si può configurare una erronea registrazione della trasferta sono:
- qualora la trasferta non sia stata proprio effettuata o la relativa indennità occulti emolumenti dovuti ad altro titolo, configurando con ciò un intento evidentemente elusivo;
- nel caso di registrazione, sotto la voce trasferta, di somme erogate per compensare prestazioni lavorative, che essendo normalmente rese in luoghi variabili e diversi, devono essere sottoposte al regime dei c.d. “trasfertisti” (art. 51, co. 6 del D.P.R. 917/1986) nel quale si determina l’applicazione di un diverso regime previdenziale e fiscale.
A titolo informativo la disciplina sull’infedele registrazione dei dati sul LUL – contenuta dall’art. 39, co. 7 della L. n. 133/2008 – è stata recentemente modificata dall’art. 22, co. 5 del D.Lgs. n. 151/2015, il quale ha introdotto nuovi importi sanzionatori. In particolare, è stato stabilito che l’omessa o infedele registrazione dei dati che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500 euro che sono aumentati nei seguenti termini:
- da euro 500 a euro 3.000 se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 6 mesi;
- da euro 1.000 ad euro 6.000 se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 12 mesi.
Rag. Piergiorgio Cefaro
Consulente del Lavoro